Figlio di
un dottore della marina francese, Henri Lacordaire crebbe a
Digione
con la madre, Anne Dugied, figlia di un avvocato del parlamento della
Borgogna,
rimasta precocemente vedova. Ebbe tre fratelli, dei quali uno fu l'entomologo
Théodore
Lacordaire.
Educato nella fede cattolica, se ne allontanò durante gli studi liceali
a Digione. In seguito studiò
Giurisprudenza,
preparandosi alla carriera di
avvocato,
e si distinse come oratore brillante in seno alla Société d'études
di Digione, un circolo politico e letterario che riuniva la gioventù
monarchica della città, dove scoprì le teorie
ultramontane
di
Bonald,
de Maistre
e
Félicité
de Lamennais.
Sotto la loro influenza, Lacordaire abbandonò le idee degli
enciclopedisti
e di
Jean-Jacques Rousseau,
conservando comunque un amore profondo e sincero per la libertà e gli
ideali
rivoluzionari del 1789.
Nel
1822,
partì per
Parigi
al fine di effettuare il suo tirocinio d'avvocato. Grazie all'appoggio
del presidente Riambourg, amico della sua famiglia, riuscì ad entrare
nell'ufficio del procuratore generale Mourre. Benché secondo la legge
fosse troppo giovane per patrocinare una causa, difese con successo
diversi imputati in
Corte
d'assise,
suscitando l'interesse del grande avvocato
liberale
Pierre-Antoine Berryer.
Tuttavia, malgrado la prospettiva di una carriera brillante, a Parigi si
annoiava e si sentiva isolato, non essendo granché attratto dalle
distrazioni mondane offerte dalla capitale. In seguito a un lungo
periodo di dubbi e interrogativi, nella primavera del
1824
si
convertì
e decise di diventare
sacerdote.
Grazie al
sostegno di
monsignor
de Quélen,
arcivescovo
di Parigi, che gli concesse una borsa di studio e malgrado le forti
contrarietà di sua madre e dei suoi amici, il
12 maggio
1824 entrò nel
seminario
Saint-Sulpice,
a
Issy-les-Moulineaux,
poi, dal
1826
fu a Parigi, dove la qualità non elevata dell'insegnamento, non si
confaceva ai suoi studi precedenti, al suo carattere e alla sua
formazione liberale. Scriverà in seguito:
«Coloro
che mi hanno seguito in seminario, hanno avuto molte volte la tentazione
di prendermi per matto.»
La sua
esperienza di seminarista inspirò
Sainte-Beuve,
per il suo romanzo Volupté. A Saint-Sulpice strinse amicizia con
il
Duca di
Rohan-Chabot
futuro
cardinale-arcivescovo
di
Besançon,
che gli consigliò di entrare nella
Compagnia
di Gesù.
Infine, grazie alla sua insistenza, e dopo lunghe esitazioni dei suoi
superiori, fu ordinato
prete
il
22
settembre
1827
da monsignor de Quélen. Il quale, dopo aver pensato di nominarlo
parroco
della chiesa de la Madeleine o della chiesa di Saint-Sulpice, gli affidò
il modesto incarico di cappellano di un convento di
Visitandine,
e, l'anno seguente, quello di secondo cappellano al Liceo Enrico IV.
Quest'esperienza gli confermò l'ineluttabile scristianizzazione della
gioventù francese affidata all'insegnamento pubblico.
Nel maggio
1830 fu
invitato da Félicité de Lamennais, all'epoca uno dei leader
intellettuali della gioventù cattolica francese, nella sua tenuta
bretone
della Chênaie. A lungo critico verso l'intransigentismo di Lamennais,
Henri Lacordaire fu sedotto dal suo entusiasmo e dalle sue idee
ultramontane e liberali. All'epoca, egli aveva in mente di partire per
gli
Stati Uniti,
come
missionario,
ma gli avvenimenti del
1830 lo
trattennero in Francia. Con Lamennais, l'abate
Philippe Gerbet
e
Charles de Montalembert,
che divenne uno dei suoi più cari amici, scelse di unirsi alla
rivoluzione di luglio, esigendo l'applicazione integrale della
costituzione
del 1830, di sostenere le rivoluzioni in
Polonia,
Belgio
e
Italia
e il
16 ottobre
1830 fondarono il giornale
L'Avenir,
il cui motto era «Dio e la libertà!». In un contesto rivoluzionario a
maggioranza
anticlericale,
il giornale sposava coraggiosamente ultramontanismo, difesa della
sovranità assoluta del
papa
in materia religiosa, liberalismo,
democrazia
e cattolicesimo.
Il
7 dicembre
1830 i redattori de l'Avenir riassumevano così le loro
rivendicazioni:
« Noi domandiamo in primo luogo la
libertà di coscienza, cioè la
libertà di religione piena, universale,
senza distinzioni come senza privilegi; e di conseguenza, cosa che tocca
noi cattolici, la totale distinzione della Chiesa dallo
Stato.
Questa separazione necessaria, senza la quale non esisterebbe per i
cattolici nessuna libertà religiosa, implica da una parte, la
soppressione del bilancio ecclesiastico, come noi abbiamo riconosciuto;
d'altra parte, l'indipendenza assoluta del clero nell'ordine spirituale.
Come oggi non può esserci nulla di religioso nella politica, così nella
religione non deve esserci nulla di politico. Inoltre, noi chiediamo la
libertà di insegnamento, perché essa è un diritto naturale ed è, per
cosi dire, la prima libertà della famiglia ; poiché senza di essa non
esiste né libertà religiosa, né libertà d'opinione… »
Tra le altre rivendicazioni figuravano la
libertà di stampa,
la
libertà di associazione
e l'allargamento del
suffragio elettorale.
Lacordaire si distinse in particolare per
alcuni articoli riguardanti la libertà di stampa e di espressione e la
libertà d'insegnamento,
contro il monopolio statale dell'Università
si oppose al Ministro della Pubblica Istruzione e dei culti, Camille de
Montalivet. Ma soprattutto s'impegnò nel sostegno alla battaglia per la
divisione tra Chiesa e Stato. Così, chiese ai preti francesi di
rifiutare il
salario
loro versatogli dal governo, ed esaltò la povertà del clero. Il
15 novembre
1830 scriveva:
« Siamo pagati dai nostri nemici, da
coloro che ci ritengono degli
ipocriti o degli imbecilli, e che sono
persuasi che le nostre vite dipendano dal loro denaro. La libertà non si
concede, si prende.»
Queste rivendicazioni, i numerosi attacchi
contro i vescovi nominati dal nuovo governo, definiti «ambiziosi
e servili», la virulenza degli
articoli, in particolare quelli di Lamennais e Lacordaire,
scandalizzarono l'episcopato francese, in larga parte
gallicano
e
conservatore.
I vescovi francesi, quindi, intentarono un processo ai redattori de
l'Avenir. Nel gennaio
1831
Lamennais e Lacordaire dovettero difendersi davanti alla giustizia,
ottenendo un proscioglimento trionfale.
Al fine di difendere la libertà
d'insegnamento, al di fuori del controllo dell'Università, conformemente
alla loro interpretazione della Costituzione del 1830, i redattori de
l'Avenir fondarono nel dicembre 1830 l'Agenzia generale per la
difesa della libertà religiosa e, il
9 maggio
1831
Lacordaire, Montalembert e de Coux fondarono una scuola libera in rue
des Beaux-Arts, che fu chiusa dalla
polizia
due giorni dopo. Dopo il processo intentato dalla
Camera dei pari
contro Montalembert, che si concluse con la condanna dell'iniziativa e
la chiusura definitiva della scuola, l'Avenir sospese le
pubblicazioni per iniziativa dei suoi fondatori il
15 novembre
1831. Il
30 dicembre,
Lacordaire, Lamennais e Montalembert, i «pellegrini della
libertà», si recarono a
Roma,
allo scopo di rivolgersi al papa
Gregorio XVI,
al quale presentarono una Memoria redatta da Lacordaire.
Inizialmente fiduciosi, furono presto delusi a causa della fredda
accoglienza loro riservata. Il
15 agosto
1832 il
papa, senza nominarli, condannò le loro idee nell'enciclica
Mirari Vos,
in particolare le richieste sulla libertà di coscienza e di stampa.
Prima di questa condanna, Lacordaire si era separato dai suoi amici ed
era tornato a Parigi dove aveva ripreso il suo incarico di cappellano
delle visitandine.
L'11
settembre pubblicò una lettera di
sottomissione al papa. Egli usò tutta la sua forza di persuasione per
convincere Montalembert, inizialmente restio, a seguirlo nella
sottomissione. Nel
1834
disconobbe Lamennais, condannato dall'enciclica
Singulari nos,
dopo la pubblicazione di Parole di un credente, con le sue
Considerazioni sul sistema filosofico di M. de La Mennais, opera
nella quale Lacordaire evocava la sua delusione per le conseguenze della
rivoluzione del 1830 e proclamava la sua fedeltà alla Chiesa di Roma.
Egli condannava l'orgoglio di Lamennais e lo tacciava di
protestantesimo,
accusandolo di aver voluto porre l'autorità del genere umano al di sopra
di quello della Chiesa.
Nel gennaio
1833
incontrò per la prima volta
Madame Swetchine,
letterata russa convertita al cattolicesimo, che aveva un salotto
celebre a Parigi, frequentato da Montalembert, il conte di
Falloux
e l'abate
Félix Dupanloup.
Egli sviluppò con Madame Swetchine una relazione al contempo filiale e
amicale, attraverso un'imponente corrispondenza.
Nel gennaio
1834,
su proposta del giovane
Federico Ozanam,
il fondatore della
Società di San Vincenzo de' Paoli,
che lo conosceva da poco tempo, padre Lacordaire tenne una serie di
conferenze al
collège Stanislas,
che incontrarono un grandissimo successo, non solo tra gli studenti. Ma
l'onnipresenza del tema della libertà nei suoi discorsi, cosa che era
sospettata di pervertire la gioventù, provocò forti critiche e le
conferenze furono dunque sospese.
Ciononostante, monsignor de Quélen,
arcivescovo di Parigi, affermò il suo sostegno a Lacordaire, e gli
domandò di predicare durante la
Quaresima
del
1835
nella
Cattedrale di Notre-Dame di Parigi,
nell'ambito delle Conferenze di Notre-Dame, specialmente destinate
all'iniziazione dei giovani al cristianesimo, anch'esse fondate su
richiesta di Ozanam. La prima conferenza di Lacordaire ebbe luogo l'8
marzo 1835. A causa del successo
ottenuto dalla sua predicazione, proseguì l'esperienza l'anno seguente.
Di fatto, le Conferenze di Notre-Dame, dove si univano
religione,
filosofia
e
poesia,
rappresentarono un rinnovamento originale della tradizionale eloquenza
sacra.
Ma nel
1836, a
motivo sia del considerevole successo che degli attacchi violenti di cui
era stato fatto oggetto, in particolare su alcune sue debolezze
teologiche,
e dopo la morte di sua madre, Lacordaire, conscio di dover acquisire una
preparazione più solida, oltre che dei sostegni più saldi, si ritirò a
Roma, dove studiò presso i
gesuiti.
Qui pubblicò la sua Lettera sulla Santa Sede, dove riaffermava
con forza le sue posizioni ultramontane, insistendo sul primato del
papa, pontefice romano,
«depositario
unico e permanente, organo
supremo della parola evangelica e fonte
inviolabile della comunione universale »
e sui vescovi. Questo testo guastò i suoi
rapporti con monsignor de Quélen, gallicano convinto. Nel
1837,
confortato dall'esempio di
dom Guéranger
che aveva ricostruito l'ordine
benedettino, Lacordaire superò le
sue iniziali reticenze, cioè la paura di perdere la sua libertà seguendo
la regola di un ordine religioso, e decise di entrare tra i
domenicani,
decidendo di ristabilire quest'ordine religioso in Francia. Infatti,
l'Ordine dei Predicatori, fondato nel
1215 da
San Domenico di Guzmán,
era stato soppresso in Francia nel
1790.
Henri Lacordaire scelse di aderire a questo ordine
medievale
in ragione della vocazione dei domenicani che è quella d'insegnare e
predicare, al fine di rinnovare e ricristianizzare la società del suo
tempo. Anche la duttilità delle
costituzioni
dell'Ordine, la sua organizzazione interna democratica ed elettiva, la
sua «incredibile flessibilità »,
l'avevano sedotto. Infine,l'appartenenza a quest'ordine gli offriva una
grande libertà rispetto alle polemiche e alle prese di posizione
politiche dell'episcopato francese.
In quest'impresa, Lacordaire fu sostenuto dal
papa Gregorio XVI e dal maestro generale dei domenicani, padre Ancarani
che gli offrì di usare il convento romano di Santa Sabina, dove ebbe
sede il primo
noviziato
dei domenicani francesi. Nel settembre 1838, Lacordaire tornò in
Francia, con lo scopo di trovare dei candidati al
noviziato,
e dei sostegni alla sua impresa. Fece pubblicare un annuncio sul
giornale
l'Univers,
e nella sua Memoria per il ristabilimento in Francia dei Frati
Predicatori (1839),
largamente diffusa, si appellò con eloquenza e in maniera estremamente
moderna all'opinione
pubblica, al popolo francese, e al
suo rispetto per i
diritti dell'uomo,
per sostenere la libertà religiosa e quella d'associazione.
La Memoria cominciava così:
« Mia patria, nel mentre che voi
perseguite con gioia e dolore alla formazione della società moderna, uno
dei vostri nuovi figli, cristiano per fede e prete secondo la
consacrazione tradizionale della Chiesa cattolica, viene da voi a
reclamare la sua parte della libertà che avete conquistato, e che anche
lui ha pagato. Mi rivolgo ad un'autorità che è la regina del mondo, la
quale da tempo immemore, ha proscritto le leggi, ne ha stabilite delle
altre, da lei dipendono le costituzioni, e le sue sentenze, un tempo
sconosciute, vengono presto o tardi eseguite. È all'opinione pubblica
che io domando protezione e la domando anche contro di essa, se ce ne
fosse bisogno. »
Per dimostrare l'inutilità della legislazione
antireligiosa messa in atto dei rivoluzionari francesi, Lacordaire
sottolineava l'evoluzione della vita religiosa, mostrando come fosse
ormai inconcepibile nel
XIX secolo
entrare in un ordine sotto costrizione, contrariamente a quanto avveniva
prima della
Rivoluzione Francese.
D'altra parte, a suo avviso, i
voti religiosi,
non si opponevano ai principi fondamentali della Rivoluzione:
innanzitutto, il
voto d'obbedienza
era la più alta espressione di libertà, poiché si trattava di obbedienza
a superiori liberamente eletti, le cui decisioni erano strettamente
limitate dagli statuti dell'Ordine, in modo da evitare qualsiasi abuso
di potere. Quanto al
voto di povertà,
esso si avvicinava a suo parere agli ideali rivoluzionari di
eguaglianza
e
fraternità.
Il
9 aprile
1839, Henri Lacordaire prese l'abito domenicano nella chiesa di
Santa Maria sopra Minerva
a Roma, prendendo il nome di Domenico. L'anno dopo, il
12 aprile
1840,
dopo un anno di noviziato a La Quercia presso
Viterbo,
durante il quale scrisse una Vita di San Domenico, emise i suoi
voti alla Minerva, dove il suo ritratto fu dipinto da Théodore
Chassériau, un'opera considerata come uno dei capolavori di
quest'autore. A proposito di questo dipinto, Lacordaire scrisse a Madame
Swetchine dicendo che:
« M.
Chassériau, giovane pittore di talento, mi ha domandato con insistenza
di farmi un ritratto. Mi ha dipinto con l'abito da domenicano, sotto il
chiostro di Santa Sabina; sono soddisfatto di questo quadro che mi dà un
aspetto un po' austero. »
Nel
1841,
ritornò in Francia, xxxxx
indossando l'abito domenicano, teoricamente
illegale per le leggi rivoluzionarie e, il
14 febbraio
1841 predicò con successo a Notre-Dame. Mentre continuava le sue
predicazioni a Parigi e in tutta la Francia, Lacordaire intraprese la
fondazione di numerosi conventi: la prima casa dell'Ordine dopo la
restaurazione fu costruita a
Nancy
nel
1843,
seguita dal noviziato di
Chalais
nel
1844 e,
nel
1849,
una casa a Parigi, nell'antico convento dei
carmelitani.
In questo periodo, Lacordaire esercitò una grande influenza su
Jean-Charles Prince
e
Joseph-Sabin Raymond,
due religiosi canadesi che furono all'origine dell'arrivo dei domenicani
in
Canada.
Nel
1850 la
provincia domenicana francese fu ufficialmente ristabilita, sotto la
direzione di Padre Henri-Dominique Lacordaire, eletto superiore
provinciale. Egli si scontrò ben presto con Padre
Alexandre Jandel,
uno dei suoi primi compagni. In effetti, nel 1850, Alexandre Jandel fu
nominato vicario generale dell'Ordine da papa
Pio IX,
ammirato dal rigore e dal dinamismo dei domenicani francesi. Jandel era
a favore di un'interpretazione rigorosa delle costituzioni domenicane
medievali e si opponeva alla visione più liberale di Lacordaire. Il
conflitto esplose nel
1852, a
proposito dell'orario del
Mattutino
e più in generale sulle comodità e le dispense da accordare ai frati.
Effettivamente, per Lacordaire che osservava una disciplina estremamente
severa, la vita monastica doveva essere subordinata alla predicazione e
all'insegnamento, e non doveva contrastare la libertà dei frati
domenicani. Nel
1855 il
papa espresse pubblicamente il suo sostegno a Jandel nominandolo maestro
generale dell'Ordine domenicano, mentre Lacordaire, ritiratosi
dall'amministrazione della provincia di Francia, fu rieletto a
quell'incarico nel
1858.
La fine della vita di Padre Lacordaire fu
oscurata da queste controversie e dalle delusioni causate dalla
politica. Da tempo ostile alla
Monarchia di Luglio,
sostenne con entusiasmo la
Rivoluzione del 1848,
aderendo alla
Seconda Repubblica Francese,
e lanciò con Federico Ozanam e l'abate
Henri Maret
un nuovo giornale,
l'Ère nouvelle,
i cui obiettivi erano quelli di «rassicurare i cattolici e aiutarli ad
accettare il nuovo regime, di ottenere per la Chiesa le libertà che le
venivano ostinatamente rifiutate da cinquant'anni e infine iniziare una
migliore distribuzione degli elementi sociali, strappando a una classe
troppo preponderante il dominio esclusivo degli interessi, delle idee e
dei costumi. ». Questo programma mescolava il tradizionale cattolicesimo
liberale con il
cattolicesimo sociale
propugnato da Ozanam.
Dopo una tumultuosa campagna elettorale,
Lacordaire fu eletto all'Assemblea Costituente per il collegio di
Marsiglia.
Favorevole alla Repubblica, si posizionò all'estrema sinistra
dell'Assemblea, ma si dimetterà molto presto - il
17 maggio
1848 -
in seguito ai moti operai e all'invasione dell'Assemblea Nazionale da
parte dei manifestanti. Così motivò il suo comportamento:
« Ho ritenuto la
Rivoluzione del 1848 un atto di alta
giustizia. Pensavo che il tentativo d'instaurare un regime
repubblicano in Francia sarebbe stato possibile in condizioni migliori
rispetto al 1792. Ho accettato sinceramente questo tentativo. Fu
con questo intendimento che entrai all'Assemblea Nazionale e che mi
posizionai all'estrema sinistra, al fine di dare immediatamente un
segnale della mia adesione alla forma di governo che la forza degli
avvenimenti stava imponendo in Francia. Il 15 maggio scosse
nelle fondamenta questa mia speranza, ciò mi ha rivelato che tutti i
progetti e le passioni dovevano inevitabilmente sfociare nella guerra
civile, in una lotta profonda, accanita, inevitabile, in cui l'estrema
sinistra avrebbe giocato un ruolo del quale io non volevo per nulla al
mondo assumerne le responsabilità. I partiti monarchici
rialzarono la testa; io non volevo servirli, non potevo farlo senza
compromettere la religione. Ho ritenuto il ritiro la scelta migliore. »
Deluso dal regime repubblicano, e in
disaccordo con le idee sempre meno liberali de l'Ère Nouvelle, il
2 settembre
lasciò la direzione del giornale, pur continuando a sostenerlo.
Lacordaire si mostrò piuttosto favorevole
alla
rivoluzione italiana del 1848
anche a costo dell'invasione dello
Stato Pontificio,
(« Non ci dobbiamo troppo preoccupare per
la possibile
caduta di Pio IX »
ebbe a scrivere a Montalembert). Si dimostrò poco entusiasta nei
confronti della
legge Falloux,
votata il
15 marzo
1850,
opera del suo amico Montalembert, che stabiliva la libertà
d'insegnamento nella scuola secondaria, da lui ritenuta insufficiente, e
che era stata invece sostenuta dal vescovo di
Orléans,
Félix Dupanloup.
Contrario all'elezione di
Luigi Napoleone Bonaparte,
Lacordaire condannò senza riserve il colpo di stato del
2 dicembre
1851,
che a lui apparve come un insopportabile attentato alla libertà, e a
tutti i valori da lui difesi, in nome dell'ordine. Scelse allora di
ritirarsi dalla vita pubblica, come spiegò nel
1861:
« Capii che nel mio pensiero, nel mio
linguaggio, nel mio passato, in quello che mi restava da vivere, io ero
una libertà, e che era giunta la mia ora di sparire insieme alle altre.
Molti cattolici seguirono una linea diversa e, separandosi da tutto
quello che avevano detto e fatto, si prostrarono con devozione davanti
al potere assoluto. Questo scisma che non mi sento proprio di definire
un'apostasia è sempre stato per me un grande mistero e un grande
dolore. »
Egli si dedicherà fino alla morte
all'educazione dei giovani, nel nuovo incarico offertogli dalla legge
Falloux, accettando nel luglio
1852 di
dirigere un collegio a
Oullins,
presso
Lione,
poi nel
1854
una scuola a
Sorèze,
nel dipartimento della
Tarn.
Infine, il
2 febbraio
1860,
fu eletto con 21 voti membro dell'Académie
française, al seggio 18, in sostituzione di
Alexis de Tocqueville,
di cui pronunciò un elogio. Incoraggiato dagli oppositori al
regime imperiale,
avendo come padrini Montalembert e Berryer, fu accolto da
François Guizot,
accettò di non fare riferimento alla questione politica italiana.
L'ingresso di Lacordaire all'Accademia fu un autentico evento politico e
mondano. Malgrado le opinioni politiche del nuovo accademico erano
presenti anche l'imperatrice
Eugenia e la
principessa Matilde.
Lacordaire siederà appena una volta all'Accademia perché morì il
21 novembre
1861, a
Sorèze, dove fu sepolto.
Un oratore romantico
Nel XIX secolo Lacordaire fu apprezzato dai
suoi contemporanei soprattutto per le sue qualità di predicatore. Nelle
sue conferenze a Stanislas, Notre-Dame e
Tolosa,
così come negli elogi funebri di
Daniel O'Connell
o del generale Antoine Drouot, si dimostrò un profondo rinnovatore del
genere ormai sclerotizzato dell'eloquenza
sacra, nella linea del
romanticismo
cattolico di
François-René de Chateaubriand
e Lamennais.
Nelle conferenze lo scopo di Henri Lacordaire
era innanzitutto quello di fare un'apologia
del cristianesimo, « l'apparizione della
verità nelle anime tormentate », e non
un lezione astratta di
teologia.
A proposito delle conferenze di Notre-Dame, così si espresse: « Mi
sembra che esse non riguardino la
metafisica o la
storia, ma s'interessano soltanto alla realtà
vivente e a ricercarvi al suo interno le
tracce di Dio. » Per dimostrare la
credibilità della dottrina cattolica, Lacordaire faceva spesso ricorso a
numerosi riferimenti estranei al
dogma,
tratti dalla storia, dalla
psicologia,
dalla poesia e dalla letteratura, rifacendosi così alla cultura del suo
uditorio composto da giovani cattolici romantici.
Inoltre, egli pronunciava i suoi discorsi con
un'espressività e un entusiasmo comunicativo, insistendo sugli argomenti
che appassionavano lui e il suo pubblico, come la libertà e il
patriottismo, il dono di sé e il
sacrificio.
Leggendo oggi i suoi discorsi possono sembrare avere uno stile confuso,
pieno di enfasi, e avere uno scarso contenuto teologico. Ciò perché, più
che le sue qualità di oratore, sono le sue intuizioni sulla
compatibilità tra cattolicesimo, libertà e democrazia, che rendono
quest'uomo e il suo percorso politico ed intellettuale degni di essere
ricordati.
Rivoluzione, cattolicesimo
e liberalismo
Secondo il suo amico Henri Perreyve,
« appassionato della giustizia, della libertà, del progresso dell'uomo,
non disgiungendo mai questi grandi ideali dalla causa di Dio e della sua
Chiesa », Henri Lacordaire non separò mai la sua profonda fede cattolica
nella credenza nel progresso e nella libertà umana (per lui, « è
il
Vangelo che ha fondato la libertà nel
mondo, che ha dichiarato gli uomini uguali
davanti a Dio, che ha predicato gli ideali e le opere di fraternità. »).
Questo amore per la libertà, derivatogli dalla sua fede, andava di pari
passo con una grande simpatia per gli uomini del suo tempo: proclamando
« la necessità di amare il suo secolo »,
si distinse da molti autori cattolici romantici che lo rifiutavano per
esaltare con nostalgia un passato mitico.
Figlio della
borghesia
rivoluzionaria (suo padre era un medico militare e suo nonno un
avvocato), ne condivideva numerosi ideali, in particolare la fede nella
modernità
e nel
progresso,
oltre a una visione globalmente positiva dell'atto rivoluzionario.
Contrariamente ai notabili suoi contemporanei, Henri Lacordaire
riteneva, a certe condizioni e sempre escludendo la violenza fisica, che
dall'insurrezione popolare potesse scaturire un miglioramento della
condizione umana. Rispetto a Charles de Montalembert,
aristocratico
liberale, il suo amico Lacordaire, senza essere per altro di convinzioni
repubblicane, mostrava delle idee politiche assai avanzate, shoccanti
per la grande borghesia cattolica che lo circondava.
Queste convinzioni spiegano in gran parte il
suo atteggiamento controverso durante la rivoluzione del 1848. Ciò
provocò l'incomprensione e il distacco temporaneo dai suoi amici più
prossimi (Montalembert, Madame Swetchine), e l'imbarazzo di gran parte
dei suoi biografi fino alla metà del
XX secolo.
Di fronte a questa generale riprovazione, affermò di «credere
che l'avvento della società moderna è stato
voluto da Dio» e giustificò le
aspirazioni democratiche dei suoi contemporanei: «Che
pericolo c'è se qualche cattolico propende un po' più vivamente per la
democrazia? Chissà che essa non sia il futuro dell'Europa?»
Paradossalmente, la sua reputazione sulfurea
gli spalancò le porte dell'Académie française. La sua candidatura fu
infatti sostenuta dagli oppositori dell'impero, tanto i liberali (Montalembert,
Pierre-Antoine Berryer,
Prosper Brugière de Barante,
François Guizot,
Alfred de Falloux,
Alphonse de Lamartine...)
quanto i
clericali,
come
Adolphe Thiers
e Félix Dupanloup, che gli contestavano comunque le sue idee troppo
"piemontesi".
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