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LA
CASA ROSSA
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La
casa rossa “ ra cà rusa “ si trovava
sulla vecchia Bussolana, dietro il mulino dove la strada che è il lungo
roggia, fa la prima curva a destra. Abbattuta negli anni sessanta ne
rimane solo il ricordo in chi l'ha vista e qualche
fotografia come questa da cui Giorgio Fonfone ne ha ricavato il
suo bel quadro. Era una casa cantoniera dove abitavano due famiglie di
addetti alla manutenzione della roggia. Un’altra casa cantoniere si
trovava due
chilometri più avanti si chiamava e tutt’ora si chiama “ ir casinòt dra Bisia “ ci abitarono i miei nonni materni e vi nacquero tutti
e quattro i loro figli. Questa casetta è il ricordo più bello dei nostri giochi
sulla Bussolana che ci ha visti protagonisti, i miei amici ed io, durante
le calde giornate d’estate.
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Pio Gallina
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AVVENTURA
SULLA BUSSOLANA
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Così
parla il prof. Pier Luigi Bruzzone, nel secondo volume della storia di
Bosco:
“
via Bussolana … Si dirama dalla strada da Lemme e tende fra mezzo
immense praterie fino alla via Emilia…”
La
Bussolana parte dalla strada che va a cascina Vecchia o da Lemme, sulla
riva sinistra della roggia vicino all’incastrone della regione Fracchia e
si allunga per più di tre chilometri in mezzo ai prati, parallela alla
roggia dalla
quale dista un centinaio di metri. Era per antonomasia la strada dei
prati.
Tre chilometri di prati che partivano dal mulino e arrivavano fino all’incrocio
con il rio Cervino e come larghezza, i prati si allargavano dalla roggia
fino quasi alla cascina Vecchia. In
pratica, per quella strada, tutti i contadini di Bosco avevano un pezzo di
prato.
Era
bello vedere l’andirivieni di carri tirati da ciondolanti coppie di buoi
o mucche, prima vuoti poi carichi di foraggi che al loro passaggio
accarezzavano i cespugli ai lati della strada perdendo un po’ del loro
carico. Questi restando dove cadeva trasformava la strada in un soffice
tappeto di fieno.
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Oltre
ai prati allora c’erano moltissime piante. Piantagioni di pioppeti su
entrambi i lati e altri pioppi sui rivi dei fossi e sul lungo roggia, poi
querce,
gelsi,
salici, ciliegi, qualche noce e mi ricordo perfino un bosso, allora,
di
una ventina di centimetri di diametro.
Era,
per noi, la strada delle praterie del west.
Pochi
bambini hanno avuto, nel corso della loro infanzia, la fortuna di
avere
a disposizione degli ambienti cosi pieni di prati e piante, rogge e
fossi
quasi sempre pieni d’acqua, com’era allora, quando eravamo piccoli.
Oggi reputo che quello era un ambiente invidiabile per chiunque e fu la
nostra
fortuna e la fortuna dei nostri giochi. Nemmeno un parco cittadino,
per
ben tenuto che fosse poteva dare la voglia di viverlo come a noi lo
davano
i prati della Bussolana.
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Quante
volte l’abbiamo fatta, quella strada, giocando e correndo all’ombra
dei pioppi, prendendo sole e aria buona in mezzo a tutto quel verde.
Sparire
dal paese, con i nostri bastoni che erano poi immaginari fucili, con la
bandiera in testa e avanti il più lontano possibile dal paese, poche
centinaia di metri e poi non vedevi più l’abitato. Solo negli anni
sessanta hanno costruito la torre dell’acquedotto che si vedeva spuntare
tra gli alberi. Quella, però, era un’altra epoca.
Corrersi
dietro, spararsi con i nostri immaginari fucili, prender le rincorse e
saltare i fossi pieni d’acqua, nascondersi in mezzo agli alberi fitti
fitti della roggia o delle piantagioni di pioppeti, era il gioco
spensierato di una ventina di bambini che più di così non potevano
chiedere per soddisfarlo.
Immersi
in quel verde per noi non esisteva più il mondo civile. Eravamo con la
fantasia nel gran west di Buffalo Bill o in mezzo alle piante, nella
giungla di Chiomadoro, gli eroi dell’Intrepido. La lettura di quel
fumetto, soprattutto i racconti di Buffalo Bill, aveva acceso in noi l’idea
di farci un fortino con travetti di legno, come il forte Carson delle
giacche azzurre negli episodi di Buffalo Bill.
Pio
Gallina
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VALGELATA
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Sotto
il muraglione di Bosco
da
data immemorata
c’e’
un pezzo di paese
che
si chiama Valgelata.
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con
Piero che che, Carlino e Miguèl
qui
ci sono nato e qui ho vissuto
con
loro ho giocato spensierato
mi
son divertito e son cresciuto.
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Quel
pezzo di paese era bello
ci
vivevamo felici e appagati
correndo
per le sue strade come dei matti
fino
a quando ce ne siamo andati.
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Eravamo
in tanti allora
facevamo
una squadra consistente
giocavamo
a guardie e ladri con fare allegro
preoccupando
i genitori e anche la gente.
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Giocando
tra gli ippocastani
per
quella strada sotto il muraglione
correvamo
come dei forsennati
gridando
dietro un pallone.
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Poi
alla fonte del pozzo della piazzetta
quando
assetati finalmente ci fermavamo
pompando
a mano tiravamo su l’acqua
e
bevendo con avidità ci dissetavamo.
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La
ricordo quella casa rotta
era
il nostro immaginario fortino
ci
ritrovavamo tutti insieme dopo scuola
a
giocare vicino alla casa di Carlino.
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E
durante le calde notti estive,
al
chiarore della luna piena e parlando di cose vane
seduto
con gli amici sul muraglione
ascoltavamo
il gracidare delle rane.
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Lo
ricordo quel vecchio ma grandioso mulino
che
allora andava tutto il giorno
andavamo
anche noi con allegria
a
fare il bagno alla lavera, ma poi vi giravamo intorno
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e
dietro il mulino un bel lago
e
una cascata d’acqua fragorosa
che
riempiva il laghetto e le rogge
per
noi era molto famosa
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Erano
per noi avventurosi fiumi
quelle
rogge nelle verde campagna
pescavamo
pesci, rane e gamberetti
ci
tuffavamo nell’acqua, era una vera cuccagna.
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Andavano
ad irrigare la verde campagna
piena
di pioppeti, rogge, fossi e prati
che
erano il confine dei nostri sogni
non
saranno mai dimenticati.
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Anche
se allora eravamo povera gente
vivevamo
in un ambiente pulito e ben curato
con
l’opera faticosa dei nostri contadini
oggi
purtroppo tutto è trascurato.
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Sotto
il muraglione di Bosco
dove
giocavamo a pallone
non
ci sono più gli ippocastani
e
quel pezzo di paese è un po’ dimenticato.
Ma
la sua gente con fede
immutata
sospira
per veder rinascere
“
la Valgelata “
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Pio
Gallina
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POESIE
DI GIOVANNI MARTINI
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Case
di terra
Case
di terra
Nidi
di lunghe sofferenze
Senza
pane
Noi
che moriamo
vi
lasciamo i nostri pensieri
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Moltitudine
di gelsi
moltitudine
di gelsi
disseminati
nella solitudine
quando
parlerete al vento
di
noi di voi
delle
nostra amicizia perduta
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Dormi
terra mia
buon
notturno a te
terra
della mia memoria
dormi
terra mia
dormi
la tua pace
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Tu,
sole del mio meriggio
i
campi di grano ondeggiano
cresce
il fruscio delle spighe
monta
la calura del giorno
e
scoppi tu
sole
del mio meriggio
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Fili
d’erba
fili
d’erba senza corolle
attingete
alle rugiade del mattino
ed
odorate le immense cavità
del
cielo
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Il
verde tenero
a
primavera
il
verde tenero
del
grano nascente
dilaga
nella distesa
e
trema sotto la carezza
del
vento marino
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Raccontami
pozzo
mi
avvicino al pozzo
da
tanti anni è li
mi
sporgo
sulla
verticale dell’acqua
mi
specchio
l’aria
è sombra e taciturna.
Raccontami
pozzo, raccontami.
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Le
stoppie deserte
Quando
il grano
L’hanno
tutto tagliato
E
l’hanno portato via
Rimangono
Le
stoppie deserte
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Le
rondini
Anche
quest’anno
Sono
arrivate le rondini
Vi
rivedo rondini
Nella
mezzaluce del tramonto.
Avete
ritrovato
il
vostro nido
Sotto
la gronda?
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Perché
tu sei là
Ho
camminato
Su
stoppie abbandonate
E
sotto soli cocenti.
Sperduta
nel bosco
Ho
visto una cappella votiva
O
Signore.
Dentro
pendeva dal soffitto
Una
lampada accesa.
Ora
ritorno
Al
mio sentiero
Ti
chiedo:
perché
tu sei là
e
fuggi dal mio cuore?
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Tutte
le sere
Tutte
le sere
Se
spunta la luna
Io
vedo una terra di sogno.
Tutte
le sere
Nella
campagna
Io
sento un grande respiro
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Giovanni
Martini ritorno
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Giulia, dolce e generoso animo.
papà |
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TRINITA
DEI PRATI
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Trinità dei prati. Angolo perso di Bosco. Chiesetta tipica di
campagna costruita attorno al 1300 e abbattuta nel 1812
per fare la strada che porta a Casalcermelli. Strano destino di
questa chiesetta boschese già allora abbattuta e ricostruita vent’anni
dopo. Nel 1965 venne riabbattuta perché bisognava allargare la strada. Ma
non si poteva spostare la strada una decina di metri verso i prati e
conservarla? Da un bel quadro di Giorgio Fonfone è stata riprodotta
da una vecchia fotografia dell’inizio ‘900 quando, come si nota, la
strada non era ancora asfaltata. Più avanti una cinquantina di metri
sulla sinistra oltre la roggia c’era il martinetto posto di produzione
artigianale di attrezzi agricoli manuali e di ferratura del bestiame,
bovini ed equini. Tale martinetto è stato dismesso dopo la prima guerra
mondiale quando, a Bosco è arrivata la corrente elettrica motrice e i
fabbri si sono spostati dentro il paese.
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Pio
Gallina
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Bosco
dai verdi prati,
delle
tue rogge e dei tuoi pioppeti
del
tuo borgo e della tua gente,
la
tua quiete mi ristora.
Qui
tutto e’ pace e tranquillità.
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Ammirando il tuo ambiente
nella calma, nella serenità
e nella quiete della sera,
ascolto i tuoi silenzi
e riconosco le voci della natura.
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Passeggiando
per la Bussolana
guardo
attentamente la tua campagna
la
vedo spoglia e desolata
e
ripensando al tempo andato
mi
ricordo quant ’ erano verdi quei prati.
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Osservando
le tue rogge e i tuoi fossi
ripenso
ai padri dei miei amici
che
tanto han dato per tenerli in ordine
ora
li vedo in abbandono e pieni di erbacce
e
mi ricordo le acque limpide che vi scorrevano.
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Passeggiando
lungo la tua Orba
vedo
una desolazione che mi rattrista
e
le sue sponde occupate con abuso
dall’avidita’
di chi per te passione non ha
e
mi ricordo la bellezza dei suoi boschi e dei suoi fondoni.
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Passeggiando per i tuoi vicoli
tra case, chiese e piazze,
dal mulino e lungo il bastione,
osservo i segni del tempo andati
e mi amareggio per l'incuria e la tua
decadenza.
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Passeggiando
per le tue vie
saluto
coloro che incontro
sono
i figli della tua gente
volti
simili alle persone di un
tempo
e
mi ricordo di un passato mondo contadino.
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Bosco
dai verdi prati
delle
tue rogge e dei tuoi pioppeti
del
tuo borgo e della tua gente
il
tuo ricordo mi risveglia
e
ho voglia di riscoprire le mie radici.
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Pio
Gallina
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VECCHIO
BOSCO
che
desti in me la memoria
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Vecchio
Bosco che desti in me la memoria
di
quel passato irripetibile che vissi
e
che vissero con tanta dedizione
i
nostri padri e chi li precedette,
parliamo
ancora di come eri allora
per
rievocare con i miei ricordi
nei
sentimenti dei giovani d'oggi
com'era
fatto il tuo incredibile passato.
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Chi
ha vissuto quell'epoca unica
osservando
la stanchezza di quella gente
e
ripensando oggi a quel tempo andato
non
potrà mai dimenticare quella vita trascorsa
tra
casa e campagna, famiglia e società
fatiche
e sudori e duro lavoro
che
sono stati i soli ma sofferti obblighi
che
della tua gente ne hanno oberato tutta la vita.
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E
la mia giovinezza per quello ne fu segnata
tanto
che presi la mia posizione politica
ma
non solo quella ne fu ispirata
lo
fu sopratutto il mio modo di essere
che
si formò nella passione verso la natura
l'ammirazione
per il duro lavoro nei campi
splendore
e ricordo di quel mondo contadino
che
oggi più che mai mi ritorna in mente.
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La
verde campagna di prati e pioppeti
percorsa
da rogge da fossi e da strade
piena
di cascinali e poderi
che
si allarga dal vecchio mulino
alle
rive dell'Orba allora selvosa,
fino
alla diga di Bosco a Fresonara
era
il mondo agreste di padri e di nonni
che
han speso la vita operosa per te.
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Pio
Gallina
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VIVERE
IN VALGELATA
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Quando
veniva la sera, le nostre mamme avevano l’abitudine di mettersi sul
portone di casa o sull’angolo della strada più strategico e facevano la
chiamata dei loro figli. Chiamavano i loro figli con una voce acuta e
prolungata che arrivava lontano e anche se non si capiva il nome,
riconoscevamo, dal timbro della voce, la nostra madre.
Nene,
sul portoncino di casa, chiamava Pierluigi
Gina
sulla strada, chiamava Carlino
Natalina,
venendo verso noi in via Manlio, chiamava Piero
Giorgio,
papà di Beppe, era l’unico che chiamava suo figlio con un fischio.
Mia
madre, dal fondo della via Circonvallazione, mi chiamava a
ripetizione. E nella quiete della sera, tra il garrire delle
rondini, che volavano basse sui cortili della Valgelata, si sentivano le
voci di quelle madri che chiamavano i loro figli.
È
questo uno dei ricordi più cari e simpatici che ho.
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Erano quelle giornate di giugno, caldissime di
giorno e fresche la sera. L’ambiente di Bosco, che non era
disturbato dal rombo dei motori, delle auto o delle moto, offriva dei
silenzi a dir poco straordinari. Credo che ciò sia per qualsiasi altro
ambiente dove l’uomo non ci faccia lo sconsiderato, ma oggi di luoghi
così non ne conosco. A Bosco, era tutto una magica fusione di suoni della
natura e voci umane. I mezzi motorizzati che turbavano la quiete
incomparabile del paese erano solo quelli del dottore o dei carabinieri.
Trattori quasi nulla, tante biciclette e la stragrande maggioranza
dei Boschesi andava a piedi. Alla sera quando si andava a spasso per il
paese, quel salutare silenzio dominava su tutto. Si sentiva da una parte
il parlare sommesso delle donne che si ritrovavano per la chiacchierata.
Da qualche stalla si sentiva il vociare di un contadino che si attardava a
governare il suo bestiame e, strano a dirsi oggi ma allora era normale,
spesso parlava con esso come se fossero persone. La luce debole dell’illuminazione
stradale creava un ambiente, emozionante, da presepio. L’ambiente
naturale ci regalava il suo coro di suoni agresti come il gracidar
delle rane e il vibrar dei grilli, il tutto immerso in una moltitudine di
lucciole che volavano sotto il muraglione e una Luna piena che spandeva il
suo chiarore d’argento su tutto.
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Anche
noi, madidi di sudore e stanchi dei giochi, sentivamo la necessità di un
attimo di tregua e un po’ di riposo. Ci portavamo sul muraglione davanti
al mulino, a ridosso di un muro, c’era una panca di granito che esiste
ancora. Seduti uno accanto all’altro, ancora con un po’ d’affanno,
senza parlare ci calmavamo del tutto. Guardavamo la Luna piena nel suo
splendore. Osservare l’astro della notte nella fase di Luna piena, per
noi della Valgelata è sempre stato un’attrazione fantastica. Quando
veniva proposto quasi mai ci rifiutavamo o proponevamo qualcos’altro. A
me scatenava la fantasia e credo, pure agli altri, tanto era il silenzio
nell’ammirarla.
Poche
parole uscivano dalle nostre bocche e la nostra fantasia, in fase di
totale quiete, rimaneva rapita da quella visione.
"
Che che che bella. " Balbettava Piero e non più di tanto.
"
Mm mm mm. " Tentava di rispondere Paolo ma balbuzie e mancanza di
fantasia gli impedivano di dire di più
"
Lè bella grande. " Diceva Carlino raggiungendo
il culmine del suo fervore poetico.
"
Ci manca l’urlo del coyote. " Diceva Miguel che con il volo dei suoi pensieri era già arrivato nel
nuovo Messico.
"
Fa perfino ombra. " Dicevo io osservando
dietro di me sul muro, la nostra ombra seppur labile.
"
Chissà se lassù c’è
qualcuno. " Disse finalmente Paolo
"
Bestia! Ma sulla Luna non
c’e nessuno. " Rispose Carlino.
"
Ma su Marte si " Intervanni.
"
E tu sei andato a vedere. " Mi
rispose Piero.
"
Un giorno mi
piacerebbe andare a fare un viaggio su Marte. " Ribattei cominciando ad
andare più lontano di tutti con la fantasia.
Così erano i nostri dialoghi
di fronte alla Luna piena in quelle fresche serate estive. Un
parlare innocente di cose vane.
Davanti
a noi la sagoma del mulino ci era amica. Dietro, le grosse acacie della
roggia, completamente al buio, sembravano ombre. Si sentiva il rombo della
cascata, e un coro unico di grilli e di rane riempiva quell’ambiente
agreste, facendo compagnia al sonno stanco dei contadini e a noi donava
una serenata fantastica che sarebbe rimasta sempre profonda nella nostra
memoria.
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Pio
Gallina
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IL
MULINO DEL SILENZIO
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Una
stanza vuota
Dai
corpi del nutrimento
Solo
macchine
Condannate
al silenzio
Le
mani sfioravano
La
materia in trasformazione
Allora
nulla era fermo
Ma
il silenzio non è vuoto
È
solo un passaggio
L’attesa
di altro
Di
un possibile cambiamento
Oggi
Corpi
come tracce trasparenti
Come
pelli strappate
Dagli
uomini che impregnavano
Grano
e farina
Ritrovano
Memoria
e forma
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Luisella
Carretta
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O
BOSCO
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O
Bosco,
verrà
il tempo in cui
non
riposeremo più sotto i tuoi chiostri,
non
ci inginocchieremo più
nella
tua devota chiesa,
non
passeggeremo più
per
la tua bella e vasta cinta di salici e pioppi,
non
seguiremo più
i
corsi degli innumerevoli e limpidi ruscelli
che
bagnano le tue praterie,
ne
non lasceremo più
sotto
la tua guardia i nostri cari morti!
O
Bosco
La
patria stessa non ci farà dimenticare
la
tua ospitalità,
la
tua bontà,
il
bene che da te abbiamo ricevuto,
la
gioia e l’unione che ci hai procurato;
e
prima di morire il nostro occhio ti cercherà
da
lontano tra il cielo e la terra.
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Padre Jean-Baptiste Henri Lacordaire
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PASSEGGIANDO
PER I PRATI DI BOSCO
RICORDANDO
I NOSTRI PADRI
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Boschese
che passi da queste parti… ascolta:
osservando
questi prati, fonte di grandi
fatiche
che
col sudore di molte generazioni assolta
dalle
loro silvestre condizioni
antiche,
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chiediti
chi questo splendido ambiente ha edificato
che
con manuali mezzi e sovrumani stanchezze
di
questa meraviglia l’ha voluto e l’ha formato
per
ricavarne invano solo precarie ricchezze.
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Non
è il caso che quest'ambiente ha creato,
ma
l'opera faticosa di chi ci ha preceduto
che
tant'impegno e sudore ha dato:
i
nostri padri che
sol lavoro e fatiche han conosciuto.
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Con
tanto lavoro han prodotto questa bellezza
di
storiche rogge, folti pioppeti ed estesi prati,
che
oggi lasciamo tristemente nella trascuratezza
stoltamente,
proprio noi, lor successor
ingrati.
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Boschese
che passi da queste parti…ricorda:
se
quest’ambiente che hai visto ti è piaciuto
amalo
e rispettalo, e fa che
nessuno scorda,
quella
gente che l’ha fatto e tu non hai conosciuto.
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E
cerca di conoscerlo quel mondo contadino
che
del lavoro, della fatica e del sudore
ne
fecero debito assiduo, tenace e destino
per
produrre quel che hai visto, bene e con onore.
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Pio
Gallina ritorno
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LA
MIA CAMPAGNA
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xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Caro
ciliegio,
che
lasci cadere i tuoi petali
come
voli di farfalle in primavera.
Scuro
muraglione,
che
ti imponi al passaggio
come
l'animo delle persone dure.
Laborioso
aratro,
che
rispecchi ancora la tua voglia di lavorare
e
la fatica di chi ti guidava.
Vecchio
baule,
che
ancora oggi nascondi i tuoi segreti misteriosi
proprio
come nel giorno in cui decisi di esplorarti.
Rude
cancello,
che
hai visto il passaggio di tante persone
di
cui puoi raccontare le grandi diversità.
Manto
erboso,
dove
posso vedere ancora le spigliate corse
della
mia spensierata giovinezza.
Dolce
e generoso animo,
che
ancora ripensi alle tue spericolate avventure
vissute
in quella verde campagna.
Parlatemi
ancora di questo paese.
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scritta
da Giulia Gallina
a soli 11 anni, nel 1994,
a ricordo della casa paterna di Bosco
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CASTELLI
IN ARIA
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Granelli
di speranze
unite
da gocce di ricordi
sospesi
in aria da apparenti forti sentimenti
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GLI ANGELI
PIANGONO
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Dal
ciglio cadono dolci e leggere
gocce
di pioggia.
Fresca
rugiada lava le corolle
dalla
stanchezza dell'ultima sera.
Un
triste ma soave profumo
nell'aria
aleggia.
Timidi
si odono lontani singulti.
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1°
premio Giuseppina Lo Guercio
1999
- Caselle in Pittari - SA
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Giulia
Gallina
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